SPOLETO come LOCATION (Raccolta di racconti, poesie, ricordi e una foto storia)

 

Libro in vendita su Amazon

Presentazione a cura di Moreno Orazi

Qualcuno si chiederà il perché di questo titolo per una raccolta di racconti, di poesie, di ricordi privati. Domanda più che legittima nel momento che il termine location rimanda al cinema. In effetti il fraintendimento è d’obbligo per una città come Spoleto che è stata effettivamente una location cinematografica in questo secondo dopoguerra.

In una città in cui il genere letterario  più diffuso è l’agiografia storica legata ai monumenti ed agli edifici che conservano una forte e reiterata memoria delle vicende urbane, sociali e politiche  che, a dir la verità,  segna un po’il passo per una naturale consunzione e per un inevitabile assottigliarsi degli argomenti e degli oggetti di studio, questa vena storicista ha  iniziato ad essere applicata ad aspetti della storia sociale recente  e della cronaca del secolo scorso fino ai nostri giorni .

Una delle ricerche più interessanti condotte è consistita nel ricostruire, con rigore filologico, la storia di Spoleto come Location, documentando, molto opportunamente, tutte le volte in cui la città si è trasformata in una location, cioè in un set cinematografico[1]. Si è trattato di rapporto comunque episodico e discontinuo, certamente dovuto alla progressiva notorietà che la città ha acquisito con il Festival dei due Mondi, quasi un preludio o meglio una profezia di quello che avrebbe fatto di Spoleto una vera e acclamatissima star delle fiction televisive da quando è diventata il set del serial “Don Matteo” che l’ha definitivamente consacrata come location cinematografica. Si è trattato di un contagio che l’ha portata ultimamente ad essere la Location del bellissimo e commovente film “Copperman, in ognuno di noi c’è un supereroe” del regista Eros Puglielli, a generare a livello amatoriale alcune produzioni cinematografiche locali e un Festival nazionale dedicato al corto sociale. 

Certo l’impatto mediatico del serial televisivo è stato eclatante, tant’è che è frequente incontrare turisti che vengono in città non per ammirare il ciclo della vita della Vergine Maria del Lippi o per visitare la Rocca Albornoziana, ma per vedere con i propri occhi i luoghi urbani che costituiscono gli scenari delle vicende di Don Matteo, vale a dire le location che fanno da sfondo, per scoprire quello che ai più è già noto, e cioè che una fiction è appunto tale.

Consultando quella fonte universale del sapere, che è Wikipedia su cosa significa esattamente il termine Fiction si apprende che si tratta di un termine che proviene dalla lingua inglese; che, propriamente, significa racconto di fantasia mentre nell’italiano corrente essa designa ogni forma di narrazione che, seppure abbia i tratti della realtà, venga rielaborata immaginativamente, fino a distaccarsene completamente sconfinando nel fantasy puro nei suoi allontanamenti più estremi. Dal passaggio da un idioma all’altro avviene in sostanza una modificazione del significato. È la stessa cosa che succede con la parola location, altro termine inglese d’importazione, che nella lingua madre significa genericamente ubicazione, luogo, località, esterno, mentre nel significato che ha assunto nella lingua italiana sta a designare, tout court, set cinematografico.

Perché, dunque, stando così le cose, i molti turisti che approdano a Spoleto per visitare i luoghi di Don Matteo si stupiscono se la caserma dei carabinieri è “ospitata” nel Palazzo Bufalini che prospetta sul lato destro di Piazza del Duomo o se la porta d’ingresso della canonica prossima ad essa, nella fiction, non è che l’accesso ai camerini del Teatro Caio Melisso? Certo, visto che ormai sono approdati a Spoleto , a seguire, superato l’attimo di smarrimento, si consolano visitando il Duomo e la Rocca ammirandone il Cortile d’onore, il cortile delle armi, la Camera Pinta, la Casa romana, il Ponte delle Torri, finendo per apprezzarne la oggettiva bellezza, ma la spinta iniziale, non c’è dubbio, per molti di loro è venuta dal prete detective, una versione in sedicesima del più blasonato Padre Brown, icona del romanzo giallo tradizionale che sopravvive nel ricordo dei sessantenni cultori di questo genere, o sottogenere che dir si voglia. Gli operatori del settore e gli esperti di marketing sono tutti d’accordo nel ritenere che il forte aumento delle presenze turistiche a Spoleto sia dovuto proprio a Don Matteo, con buona pace degli intellettuali radical chic che storcono il naso per il disappunto, riproponendo nei riguardi del serial la estenuante querelle tra cultura alta e cultura bassa così ben rappresentata da Umberto Eco nel suo famoso saggio “Apocalittici e integrati”[2].

Tornando al titolo di questa miscellanea di scritti, dopo avere constatato che location è un termine che fa pensare alla città come ad un set cinematografico, è oltremodo necessario chiarire la ragione di questa appropriazione che effettivamente sembra indebita e così poco opportuna.  In primo luogo il termine è utilizzato nel significato originario della lingua di provenienza: sta dunque per località o luogo di accadimenti. E a seguire per le affinità contenutistiche che legano il cinema alla letteratura; come il cinema così anche la letteratura contemporanea sono lo specchio dei tempi attuali. Sono le forme d’espressione artistica che meglio rappresentano la condizione umana nelle cosiddette società industriali avanzate, di cui indagano le aspirazioni a volte folli, le ambizioni nascoste nemmeno più di tanto, le eclatanti miserie. L’uno e l’altra si fanno parimenti carico di descrivere la prosaicità del quotidiano ma anche, recentemente, nel registrare i mutamenti dell’ambiente fisico e sociale, di dar visibilità alle paure nuove che derivano dai gravi squilibri dell’ecosistema e dalla crescita abnorme degli insediamenti urbani determinati entrambi delle grandi contraddizioni dello sviluppo industriale. 

Spoleto come Location dunque perché le vicende narrate sono ambientate a Spoleto, una città evocata, che fa più da sfondo che da protagonista. Si racconta di una Spoleto che, o non c’è più, oppure è immaginativamente reinterpretata attraverso lo sguardo di un suo abitante particolare. Si cerca  di riscrivere la Sua storia e la Sua memoria, di  uscire  dalla routine  della storiografia agiografica locale ricorrendo a moduli narrativi improbabili, o evocando vicende umane remote di cui si conserva un’eco indistinta, un bisbiglio incomprensibile appena percepibile, registrato, trasfigurato e trasformato in un racconto totalmente d’invenzione, allo scopo di contribuire a  costruire una nuova mitologia/mitografia contemporanea della stessa, legata ai tempi presenti, che è appunto una delle finalità di questa raccolta e  una delle funzioni della letteratura oggi .

Questa raccolta spuria di scritti variegati esprime infine il diritto di ognuno di praticare la scrittura allo scopo di liberare la propria immaginazione o, semplicemente, di tenere la mente vigile e recettiva, di non sentirsi un soggetto passivo e di elevarsi dalla condizione di lettore/fruitore, in soggetto attivo, in quella, udite! udite! nientemeno che di scrittore/autore. Contraddice anche una opinione negativa della realtà di Spoleto, specialmente diffusa tra le giovani generazioni, secondo la quale, in questa città non succederebbe mai niente di significativo, ed invece scorre, come una vena d’acqua sotterranea, una creatività diffusa, nascosta, che, quando trova dei varchi, come questo libro autoprodotto, affiora in superficie rivelando una ricchezza e, insieme, una insospettabile vivacità e inventiva.  

Una ultima annotazione. Il racconto “Dario e la macchina del tempo” è stato scritto a più mani da un gruppo di persone con difficoltà ad esprimersi, ma che se adeguatamente stimolate e supportate rivelano un mondo interiore ricco ed una immaginazione feconda. Stimolati dagli operatori della struttura di accoglienza che frequentano gli autori del racconto hanno costituito un gruppo di lettura che si chiama “Leggolandia”. È risaputo che chi pratica la lettura spesso finisce per prendere in mano la penna e inizia a cimentarsi nella scrittura. È quello che è successo anche a Leggolandia. I componenti del gruppo e gli operatori hanno deciso ad un certo punto di fare il salto e hanno scritto un fantasy che richiama situazioni, memorie e ambienti della città di Spoleto, perfettamente allineato dunque con il motivo unificante di questa antologia. Si scrive sempre per qualcuno. I componenti di Leggolandia scrivono in primis per sé stessi, ma poi, inevitabilmente direi, hanno sentito il desiderio di far partecipi di questo loro fare anche gli altri e di conoscerne il parere. E così ci hanno proposto di ospitarli in questa raccolta, richiesta che i “borgowriters” hanno subito accolto, dopo averlo letto e averne apprezzato il contenuto.  

[1] Antonella Manni Spoleto Cinema, 1969-1971. Mito e miti della settima arte nella città del Festival   con un testo introduttivo inedito di Gian Luigi Rondi ed una post fazione di Marco Rambaldi, a cura dell’Associazione Amici di Spoleto, 2017.

[2] Umberto Eco “Apocalittici e integrati “, Bompiani editore, Milano, 1964